di Carmen Piccirillo
Di origini venosine, Nicola Di Vietri è un pittore, scultore, cesellatore, esperto nella lavorazione del rame sbalzato e patinato. Laureato in architettura, durante il periodo universitario a Firenze fruisce di una borsa di studio, e partecipa a un corso sulla lavorazione del ferro battuto, che gli permette di approfondire le tecniche di scultura. La frequentazione dei corsi liberi dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, gli consentono di avvicinarsi anche alla pittura, e alle varie tecniche di incisione, che ha sperimentato nel corso della sua carriera. Ha insegnato arte presso svariate scuole medie e superiori. Numerose le sue partecipazioni a rassegne, mostre, e concorsi. Ha preso parte alla realizzazione di molti progetti artistici per mostre collettive, opere pubbliche, e restauri. Molto apprezzato dalla critica, svariati articoli ne hanno esaltato la perfezione tecnica e la creatività. A Lacedonia, nell’anno 1986, ha realizzato un monumento in piazza- inaugurato nell’anno successivo- dedicato ai caduti in guerra, traslato di pochi metri nell’anno 2017.
Le coinvolgenti opere dell’artista sono esposte presso la sua galleria/studio, a Venosa.
Qual è stato il suo primo contatto con l’arte?
Il mio primo contatto con l’arte risale a moltissimi anni fa: una scuola di parrucchieri stava mettendo in campo alcuni corsi di formazione, gli allievi erano in procinto di fare degli esami, e, tra i tanti, ci sarebbe stato un vincitore. Mi chiesero di realizzare un trofeo, che rappresentasse qualcosa di diverso dalle solite targhe, coppe ecc. In quell’occasione mi sono ritrovato ad improvvisare degli attrezzi, realizzati con le valvole di motore a scoppio delle automobili, utilizzate come ceselli, con i quali ho potuto lavorare il rame, per creare l’immagine di una capigliatura di una donna, al vento, come simbolo della bellezza, e dell’ottimo lavoro di quella scuola di parrucchieri. Quando mi sono trasferito Firenze, per iscrivermi alla facoltà di architettura, ho avuto modo di curiosare all’interno di laboratori e di botteghe in città, dove trovavo lavori cesellati su rame: focalizzavo con attenzione gli attrezzi più pertinenti, e, cominciavo ad acquistare tutto ciò che mi serviva per migliorarmi. Venivano fuori, così, le mie prime opere. Gradualmente sviluppavo i miei temi esistenziali/culturali. Studiavo, facevo ricerche su modelli di cultura e di vita in epoche diverse, e, con entusiasmo, ho realizzato bassorilievi, pitture, sculture metafisiche e surreali. Ero ispirato dalla mia quotidianità, quella dei contesti in cui vivevo: Milano, Venosa, Firenze, così come avvenimenti, mode, e tant’altro.
Quanto è importante usare l’arte come strumento per “comunicare”, e in che modo è possibile incrementare questa capacità?
Nei miei tanti anni di insegnamento nei licei, il mio obiettivo è stato proprio quello di inculcare nei ragazzi la capacità di riuscire a comprendere i codici espressivi, che, nelle diverse epoche, tra cui l’arte preistorica, greca, romana, il Rinascimento, fino all’arte moderna dei giorni nostri, rappresentasse un ‘messaggio’, apparentemente nascosto, ma, se osservato con attenzione, evidente. È importantissimo scorgere i segni delle manifestazioni culturali delle nazioni e dei popoli che hanno creato opere in tutte le parti del mondo. La passione è l’espediente per migliorare qualunque capacità.
Quale significato attribuisce alle luci e alle ombre, nella vita e nell’arte?
Luci e ombre rimandano a Caravaggio, all’essenza, alla spiritualità, al valore che non appare, ma che esiste.
Nella vita il percorso più arduo è uscire dalle tenebre, che sono sinonimo di abitudine, di comunicazioni “di piazza”, di stereotipo, di convenzioni sociali. Approfondire le cose, e far emergere l’essenzialità, l’intento a migliorarsi attraverso la comunicazione, è un esercizio che tutti dovrebbero sperimentare, artisti e non.
Tra i tanti, qual è stata l’interpretazione esterna più significativa che ha ricevuto?
Molti hanno apprezzato uno dei miei ultimi lavori, cogliendone il senso effettivo che io ho voluto attribuirgli: questo mi ha reso davvero entusiasta. L’opera è stata presentata alla Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea e Design di Firenze, dedicata alla terra, che ha subito molti processi distruttivi: ho fatto un “excursus” dei gravi danni arrecati a essa, ho modificato il paesaggio, gli esseri umani. Ho evidenziato un concetto di mutevolezza del pensiero, nel senso di impoverimento. Alcune persone, tuttavia, osservandola bene, ne hanno colto la speranza, quella che dovremmo avere ancora per rinnovare il territorio, preservarlo, curarlo, come la sostenibilità ci propone.
Lei tiene corsi di disegno e pittura. Qual è stata, da formatore, la soddisfazione più grande?
Le tecnologie digitali hanno minato fortemente nei ragazzi le passioni, l’attenzione, la capacità di cogliere la bellezza nel mondo. Avverto amarezza verso tutto questo. Tuttavia, ho avuto modo di interfacciarmi con alcuni giovani molto entusiasti di ascoltarmi, di apprendere, di fare nuove esperienze nell’ambito artistico. La soddisfazione più grande è percepire che, nonostante tutto, qualcuno è ancora attratto dalla bellezza ad ampio spettro.
In una sua opera, in rame sbalzato e patinato, è raffigurato un sogno: è stata denominata “Ambizioni oniriche”. Cosa significa, per lei, tentare di spiegare il mondo ignoto dell’inconscio dell’essere umano?
Tentare di spiegare l’inconscio significa attingere da quello che dicevano i surrealisti. La realtà circostante è modificata, snaturata, e bisogna avere una mente “irreale” per trarre i tanti messaggi importanti, ed evidenziarli, per dare a essi una nuova vita.
Progetti attuali e progetti futuri?
Recentemente ho partecipato come espositore al Festival degli Autori a Rionero in Vulture, organizzato dal Centro Studi Leone XIII. Sono stato presente, inoltre a una mostra a San Mauro Forte, dove ho presentato molti acquerelli e altre opere. Per il futuro, attraverso la mia arte, vorrò focalizzarmi su un ‘messaggio’ in particolare: focalizzarsi sul momento presente, con partecipazione, emotività. “Carpe Diem”.